La primavera è sicuramente la stagione in cui la natura sfodera tutta la sua bellezza e, dopo una fase di quiescenza, tutto si risveglia in modo frizzante vivace ed esuberante. Gemme sui rami, fiori tra le spine e prati variopinti a tal punto da farci sentire parte di un quadro impressionista.
Il paesaggio di pietra delle Murge pugliesi, dall’aspetto duro e aspro, cambia completamente carattere e si ricopre di asfodeli, ferule e papaveri, che sembrano, quasi, invitarci all’esplorazione.
E’ proprio qui, nelle radure aperte e tra i calcari affioranti, che possiamo fotografare le opere d’arte della natura: le orchidee selvatiche. Ben diverse da quelle che siamo abituati a vedere in commercio, provenienti da latitudini tropicali o incrociate in serra, sono di dimensione molto ridotte (proporzioni di accendino o penna) e nascono spontaneamente, tra la pseudo-steppa e i margini dei boschi, da marzo a maggio, fatta eccezione per l’unica candida fioritura autunnale, chiamata Spiranthes spiralis.
Quando si parla di orchidee ci riferiamo a fiori tra i più diffusi al mondo, che fanno parte della famiglia delle Orchidaceae, che conta oltre 25000 specie, presenti in ambienti molto differenti, dal mare alle montagne dei vari continenti. L’Europa vanta 500 specie appartenenti a 30 generi diversi, di cui la metà presenti in Italia, e la Puglia è un vero e proprio scrigno di biodiversità, in cui sbocciano circa 150 specie, di cui la maggior parte sul Gargano.
Nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia e nelle Murge della Valle D’Itria, durante i trekking primaverili, se ne possono fotografare almeno 30, tra cui vari endemismi “Ophrys murgiana o Ophrys peucetiae, Ophrys gravinensis, Ophrys tarentina” e ibridi: è, spesso, un terno a lotto dar loro un nome tassonomico, che è, fondamentalmente, utilizzato dalla scienza per dialogare senza equivoci. Agli appassionati di natura poco importa, perché godere della loro bellezza è decisamente più importante.
Questa pianta erbacea presenta sullo stelo uno o più fiori dalla forma insolita. Il fiore è, infatti, costituito da tre sepali e tre petali, di cui uno vistosamente modificato, che catturerà l’attenzione del vostro occhio, ponendovi quest’interrogativo: è un petalo o un insetto? Chiamato labello è un vero e proprio petalo trasvestito da insetto con la forma a trampolino ed ha l’aspetto di un tappeto di velluto rosso o damascato. Ma come mai tanta creatività?
E’ il fascino che inganna!!!
Questo piccolo capolavoro stupisce non solo per la bellezza, ma, soprattutto, per le sue strategie evoluzionistiche. La conservazione delle specie, infatti, induce queste piccole orchidee furbette a imitare gli insetti, a produrre feromoni sessuali, ad ospitare altri animali, pur di attrarre impollinatori per la sua sopravvivenza: non trovate sia geniale?
Vi cito alcuni esempi. La Barlia robertiana, la prima orchidea a fiorire e quella dalle dimensioni più grandi, non avendo un fiore appariscente, ospita colonie di afidi che producendo una sostanza zuccherina, chiamata la melata, risulta appetitosa per i bombi.
Il genere Ophrys si è evoluto parallelamente agli insetti assumendo il loro aspetto; il nome deriva dal greco ciglia, in quanto i fiori sono coperti da peluria. L’insetto si posa e durante la presunta copulazione si sporca di polline, che successivamente trasferirà ad un altro fiore. Un’orchidea molto comune, l’Ophrys sphegodes, secerne addirittura due ormoni prodotti dalle femmine di un’ape specifica, l’Andrena nigroaenea: il primo ormone attira i maschi di ape, avvenuta l’impollinazione, il secondo ormone segnala la fecondazione e, pertanto, questa strategia aumenta il numero di orchidee impollinate.
Ma come possono sopravvivere queste piante in ambienti da secoli utilizzati per il pascolo? C’è il rischio di estinzione? A quanto pare no. Le orchidee selvatiche sono piante geofite, i cui tuberi, che tanto ricordano la forma dei testicoli, da cui il nome dal greco, hanno una forte sinergia con le caratteristiche del suolo. L’associazione simbiotica che si instaura tra le radici della pianta e dei particolari funghi, chiamati micorizze, è fondamentale per la loro esistenza: la pianta cede al fungo il glucosio, frutto della fotosintesi, e il fungo aumenta la sua capacità di assorbire minerali dal suolo. Inoltre, il loro ruolo è determinante nel momento della germinazione. Il seme molto piccolo, grazie al vento, si diffonde facilmente, ma non ha con sé le sostanze nutritive per germinare, e in questo i funghi lo supportano. L’esistenza delle orchidee, quindi, è strettamente correlata alla simbiosi con questi funghi, che essendo organismi decompositori, sono ecologicamente legati alla presenza di abbondanti escrementi. Ne consegue che anche pecore e mucche hanno un ruolo fondamentali per l’equilibrio dell’ambiente, perché fortemente in relazione con lo sviluppo di funghi micorizze, in simbiosi, a loro volta, con i tuberi delle piante di orchidee.
Le Orchidaceae sono protette a livello internazionale dalla Convenzione di Washington (CITES), pertanto in natura non possono essere danneggiate, tantomeno raccolte. La loro fioritura è strettamente correlata alle caratteristiche del suolo, perciò sarebbe inutile sdradicarle, perché molto difficilmente attecchiscono in vaso, oltre che eticamente scorretto. Se ami una cosa lasciala vivere ed, essendo perenne, ogni anno ti stupirà.
Rossella Gendarmi